24 maggio 1915: l’Italia entra nella Grande Guerra

Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria: quasi mezzo milione di soldati italiani cominciò a marciare verso il confine con l’impero Austro-Ungarico, ex alleato, l’Italia aveva infatti ripudiato l’alleanza austro-tedesca e sottoscritto il Patto di Londra che la legava a Francia e Gran Bretagna (potenze dell’Intesa) e ora nemico da combattere.

Già prima del 1914 i segnali di tensione apparivano evidenti. Il quadro delle alleanze si era stabilizzato intorno a due blocchi: l’uno composto da Francia e Russia, l’altro da Germania e Austria. In ognuno di essi crescevano i risentimenti nazionalistici e la paura di rimanere isolati. L’attentato di Sarajevo con cui uno studente irredentista bosniaco, tal Gavrilo Princip membro di un’associazione nazionalista serba che si chiamava La mano nera assassinò l’erede al trono d’Austria, fece da detonatore di un conflitto tutt’altro che imprevedibile: subito scattò la reazione a catena del dispositivo delle alleanze militari, così che già all’inizio di agosto Austria e Germania, da una parte, Francia, Gran Bretagna e Russia, dall’altra, erano scese in guerra. A fine agosto il Giappone dichiarò guerra alla Germania, per liberarsi della flotta militare tedesca che sorvegliava il Pacifico orientale. Poi fu la volta della Turchia a scendere in campo, dalla parte degli Imperi centrali.

E poi l’Italia.

Era una guerra che la maggior parte della popolazione non voleva, infatti lo storico triestino Lucio Fabi ricorda che «Il Paese era impreparato e contrario al conflitto» ma alla fine avevano deciso il re Vittorio Emanuele III e il governo di destra guidato da Antonio Salandra, che a fine aprile avevano firmato un patto segreto con Inghilterra, Francia e Russia, ottenendo la promessa di compensazioni territoriali (il Patto di Londra cui abbiamo accennato). Erano contrari alla guerra i cattolici, non ne volevano sapere i liberali di Giolitti, eppure ebbe la meglio la componente interventista, minoritaria ma più unita, sostenuta da intellettuali come D’Annunzio e capace di riempire le piazze.

Di certo, le possibili conseguenze erano state sottovalutate. «Nonostante il conflitto durasse da quasi un anno, si pensava che in pochi mesi la guerra sarebbe finita, non che dovesse durare anni e anni terribili – continua Lucio Fabi –. Forse il generale Luigi Cadorna, che era il capo dell’esercito, aveva ben presente la situazione delle sue armate: sapeva che un esercito mobilitato in fretta e composto da soldati in gran parte contadini non addestrati per una guerra moderna non poteva agire in modo efficace. Tuttavia il governo spinse per l’entrata in guerra».

Un conflitto sanguinoso che era già in corso da 10 mesi e che stava falciando un’intera generazione. E l’Italia pensò bene di farne parte!

In pochi giorni centinaia di migliaia di soldati italiani attraversarono il confine con l’Austria-Ungheria e invasero territori appartenenti all’ex-alleato. «Nei primi momenti il superamento del confine avvenne in un clima quasi di festa – racconta lo storico triestino –. Fu comunque un’occupazione non indolore, che all’inizio provocò anche un centinaio di fucilazioni di civili considerati spie o conniventi con il nemico». Nel giro di poche settimane, le posizioni degli eserciti si stabilizzarono. L’avanzata dell’esercito si infrange ripetutamente contro le fortificazioni austriache sull’Isonzo dando inizio a una tremenda guerra di trincea. «Fu una carneficina – è ancora Lucio Fabi a parlare –. Solo sul fronte dell’Isonzo, ci furono non meno di 350mila morti fra italiani e austro-ungarici dal giugno 1915 all’Estate 1917, prima di Caporetto» (che per  inciso ricordiamo essere un’altra immane sconfitta dell’Esercito Italiano, forse la più grave della storia, tanto che da allora assurse a modo di dire per indicare una disfatta o una capitolazione).

Questo conflitto che insanguinò l’Europa coinvolgendo milioni di uomini e decine di Stati i quali impegnarono le capacità produttive dell’industria moderna e le risorse della tecnica per preparare strumenti di offesa e di difesa; fu di intensità tale da giustificare appieno l’appellativo di “Grande Guerra” visto che costituì un avvenimento nuovo nella storia dell’umanità, una sorta di “salto di qualità” nella storia dei conflitti umani e visto che fu la prima guerra veramente mondiale. Vennero impiegate armi micidiali, messe a disposizione dall’industria meccanica e chimica, che impressero all’urto degli eserciti una potenza terrificante. La guerra chiuse un lungo capitolo della storia europea di sostanziale pace, che era iniziato nel 1815: dopo quella data la conflittualità armata era stata contenuta nell’ambito di scontri regionali. Di colpo la guerra assunse una dimensione geopolitica pluri-continentale, preludio questo dei nuovi equilibri internazionali che si spostavano dall’Europa all’America e all’Asia.

Ecco perché questa è una di quelle ricorrenze da non poter minimamente festeggiare a cuor leggero, ma al contrario, su cui riflettere visto che in questa data, un secolo fa, l’Italia stava oltrepassando la soglia dell’inferno.  Stolto è colui che pensa, come Carl von Clausewitz, generale prussiano dei primi dell’ ‘800, che la guerra altro non è che la continuazione della politica con altri mezzi!

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* in foto il “tributo” casalese alla follia della Grande Guerra

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