Halloween: fuori dalla ragnatela del tempo

Negli ultimi anni la “festività” di Halloween, spopolata anche in Italia, va sempre più assumendo un dilagante carattere consumistico, con un oscuramento progressivo dei significati originari; in realtà, questa ricorrenza cela antichi legami con quel culto dei morti che è presente in quasi tutte le religioni e ne costituisce l’origine e il fondamento. Esso viene celebrato con feste che, pur variando nei dettagli rituali, nelle particolari credenze connesse, nella durata e nella posizione calendariale, sono accomunate dalla concezione della continuazione, dopo la morte, di una speciale attività vitale del defunto e presentano delle costanti: in un determinato giorno o periodo dell’anno, che è spesso la fine o il principio dell’anno stesso e cade nella stagione del raccolto o in altro momento saliente della vita della comunità, si crede che i morti possano ritornare tra i vivi, i quali li accolgono con offerte di cibi, abiti e altri oggetti, e che possano partecipano ai banchetti festivi, per poi lasciare la dimensione mondana, al fine di ristabilire l’ordine normale che presuppone una separazione tra i due mondi. 

Già gli antichi Egizi, per assicurarsi la benevolenza dei defunti, idearono le “lettere ai morti”, nelle quali erano soliti scrivere ai cari deceduti auguri di “viaggio” o particolari richieste; nella religione iranica antica, il primo mese dell’anno, Fravardin, coincideva con la festa dedicata ai fravashi, gli spiriti degli antenati che venivano ospitati con offerte di cibi e vestiti. Nel mondo greco, nel mese precedente l’equinozio primaverile, si celebravano le Anthesteria, antiche feste in onore di Dioniso che, dietro la superficie di gaiezza connessa con l’ebrezza, presentavano esplicite forme di disordine rituale, sottolineate dalla presenza dei morti: nel giorno della contaminazione, infatti, si credeva che popolassero le città degli spiriti, chiamati Cari, per proteggersi dai quali si cospargevano le porte di pece, ci si proteggeva con rametti di biancospino, si chiudevano i templi per preservarne la purezza, si indossavano maschere, quale rappresentazione degli spiriti vaganti in questo giorno sulla terra; tale giornata fuori dall’ordine si concludeva con l’invito, rivolto agli spiriti, ad abbandonare le case, attraverso la proverbiale esclamazione “Fuori, o Cari, le Antesterie sono finite”Per i Romani, le anime liberate dal corpo si tramutavano in essenze divine, i Manes, membri spirituali della comunità familiare alla quale erano appartenuti in vita; inoltre, il mondo romano era ricco di celebrazioni connesse con il culto dei morti: le Parentalia, a carattere prevalentemente privato, si celebravano con sacrifici alle tombe dei Parentes, i defunti della famiglia; le Feralia costituivano la vera e propria festa dei morti, celebrata pubblicamente ogni anno e caratterizzata dall’uso di “portare”- da cui l’etimologia del termine – doni ai morti; le Lemuria o Lemuraliatradizionalmente istituite dallo stesso Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, da lui ucciso, venivano celebrate per esorcizzare gli spiriti dei morti, i lemuri.

Quando i Romani, nel periodo pre-cristiano, entrarono in contatto con le popolazioni celtiche, identificarono la loro festa dei morti (Lemuria) con la festività pagana celtica di Samhain, conosciuta anche come “Capodanno celtico”Samhain scandiva il ritmo solare-lunare-agricolo ed era una festa di distruzione e ricostruzione del tempo cosmico; nella dimensione ciclica del tempo, caratteristica della cultura celtica, Samhain si trovava in un punto fuori dalla dimensione temporale, che non apparteneva né all’anno vecchio né al nuovo; in quel dato momento il velo, che separava i vivi dai morti, si assottigliava e consentiva la mescolanza tra i due mondi: era insomma, “il giorno che non esisteva”. Si tratta di una festa mitico-rituale, che presenta evidenti aspetti di rottura delle norme tradizionali ed era accompagnata da riti di propiziazione e fecondazione. Quanto alla parola “Halloween”, essa è attestata per la prima volta solo nel XVI secolo e rappresenta una variante scozzese del nome completo “All-Hallows-Eve”, cioè “la notte prima di Ognissanti”; ma nella configurazione che questa festa ha assunto nel tempo, trasferita in America dai numerosi emigrati irlandesi, si è completamente ribaltato lo spirito originario del rito celtico, concepito come la cerimonia di un nuovo inizio: ed infatti, la trasformazione del “fenomeno Halloween” è tutta americana, ottenuta trattenendo l’aspetto lugubre dell’aldilà, esorcizzato con le maschere e gli scherzi.

Anche in Italia le tradizioni pre-cristiane si conservarono a lungo, sovrapponendosi a quelle introdotte dalla Chiesa. In Sardegna è tuttora usanza intagliare le rape ed esporle illuminate con lumini durante la notte dei morti. In Puglia, la notte tra l’1 e il 2 novembre, si celebra l’antichissima notte del “Fucacost”, “il fuoco fianco a fianco”: davanti ad ogni casa sono accesi dei falò, volti a illuminare la strada di casa ai nostri defunti, che in quella notte tornano a trovarci. Uno degli aspetti dei rituale è il cibo: nelle civiltà del Mediterraneo, l’offerta di cibo era un aspetto fondamentale della ritualità funerea, quale mezzo per considerare i morti ancora capaci di interagire; tipico cibo dei morti erano fave, fagioli e in generale tutta la verdura a baccello; nel Medioevo, nel Nord Europa, si preparava una torta chiamata “soul cake”, “torta dell’anima”, un pane dolce con uva sultanina o ribes, che i bambini richiedevano di porta in porta: per ciascuna fetta si doveva pregare per l’anima di un parente defunto; a Singapore si celebra la “Hungry Ghosts Festival”, ovvero “la festa degli spiriti affamati”; ancora, i Calaveras, che caratterizzano la festa dei morti messicana, sono scheletri bianchissimi e decorati con mille colori e forme. In Italia, le “ossa dei morti” sono biscotti tipici della tradizione siciliana, veneta e piemontese, il “torrone dei morti” è tipicamente partenopeo, il “pan dei morti” è lombardo; in Trentino si preparano i “cavalli”, dolcetti a forma di cavallo, forse legati all’antico culto della dea Epona, protettrice romano-celtica dei cavalli e accompagnatrice dei morti nell’oltretomba; in Puglia si prepara il “grano cotto”, cereale da sempre legato al concetto di vita-morte-rinascita; inoltre, in molte zone italiane si usa apparecchiare la tavola con un posto in più riservato ai defunti, mentre un’altra tradizione prevede di porre una mela e una candela fuori dalla finestra, affinché il defunto trovi la strada di casa e possa sfamarsi.

Il "torrone dei morti", bontà partenopea
Il “torrone dei morti”, bontà partenopea

Si tratta, concludendo, di un culto che miscela concetti cristiani e folklore pagano, cui è connessa in origine una positività che è andata perdendosi, che sopravvive oggi come mera connotazione esorcistica e scherzosa nei confronti del contatto temporaneo tra la dimensione dei vivi e quella dei morti, caratterizzata in ogni angolo del mondo da aspetti differenti. 

Adele

 

Lascia un commento