Referendum costituzionale, i contenuti

Si voterà domenica 4 dicembre: è questa la data per il referendum confermativo sulla riforma costituzionale proposta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi ai ministri riuniti per il Cdm a Palazzo Chigi. Il referendum deciderà, con un semplice o No, se siamo favorevoli o contrari alla riforma costituzionale e introdurrebbe diverse novità, tra cui l’abolizione del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la modifica del quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica e l’aumento del numero delle firme necessarie per proporre una legge di iniziativa popolare o un referendum.

La Riforma è stata approvata, visto che l’iter previsto dalla legge è stato completato, tuttavia entrerà in vigore soltanto se vincerà il Sì al referendum che è stato richiesto poiché nella seconda lettura non è stata raggiunta la maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti di ogni Camera, eventualità questa prevista dalla Costituzione all’art. 138.2 («quando ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera»). Il Referendum, essendo di tipo confermativo, è senza quorum, quindi avrà valore anche se andassimo a votare in quattro gatti e tre cani, diversamente dal referendum abrogativo – come quello di aprile sulle trivellazioni, per intenderci.

Ma, in effetti, “cosa andiamo a votare”? Cerchiamo di capirlo a grandi linee con questo lungo ma pur sempre sintetico elenco: con uno sforzo di generosità va perdonata l’ampiezza di questo articolo, obbligata però, se si pensa al fatto che molti punti vengono toccati e non è certo un paio di commi che ci si prefigge di riformare, ma ben 47 articoli (anche se una decina non modificati direttamente), cioè quasi un terzo del totale. Sono divisi in piccoli paragrafi i punti più importanti, tutto ciò al fine di facilitare la lettura: spero di esserci riuscito. Ecco qui le principali novità.

Il bicameralismo perfetto

Iniziamo con quello che spesso viene presentato come il pezzo forte della Riforma, quello riguardante la distruzione, o meglio il suo forte ridimensionamento, del tanto discusso Bicameralismo Perfetto cioè quel meccanismo, spesso dall’estenuante lentezza, per cui due Assemblee sono chiamate a fare una cosa sola allo stesso identico modo, come per esempio la fiducia a un nuovo Governo e, soprattutto, l’iter di approvazione di una legge, fenomeno quest’ultimo che dà origine alla cosiddetta navetta tra Camera e Senato per ridiscutere di ogni minimo cambiamento, anche solo una virgola, nel testo di ogni legge, con l’effettivo prolungamento dei tempi.

Con l’abolizione del Senato così com’è oggi, la Camera dei Deputati diventerà l’unica assemblea legislativa e manterrà da sola il potere di votare la fiducia al governo. Quindi avremo un Parlamento composto dalla Camera (630 deputati, uguale a quella attuale) e il Senato dei 100.

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Il senato

Il numero dei senatori verrà ridotto da 315 a 100, di cui 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori di nomina presidenziale (che comunque non rimarranno più in carica a vita ma saranno legati al mandato dell’inquilino del Colle, ossia sette anni, e non possono essere rinominati). Restano invece senatori a vita gli ex presidenti della Repubblica che non verranno conteggiati nel numero dei senatori scelti dal Colle: gli attuali senatori a vita (Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia) rimarranno al loro posto. Lo stesso vale per Giorgio Napolitano, in quanto ex-Presidente della Repubblica. Di senatori a vita non potranno essercene più di 5 contemporaneamente. Inoltre i senatori non riceveranno alcuna indennità aggiuntiva (cioè non avranno due stipendi) ma godranno dell’immunità parlamentare (cioè non potranno essere incarcerati se non ci sarà il voto favorevole del Senato, tranne nei casi in cui sia necessario l’arresto in flagranza di reato, oppure vi sia una sentenza irrevocabile di condanna).

Sul COME i nuovi senatori vengono scelti la Riforma ci dà poche indicazioni. Intanto sappiamo che i senatori saranno eletti «in conformità alle scelte espresse dagli elettori» e che saranno ripartiti tra le Regioni in base al loro peso demografico. A parte questo, l’elezione dei nuovi senatori non è ancora regolamentata da una legge specifica: nel testo della Riforma si legge, infatti, che le modalità di elezione verranno decise da Camera e Senato in un secondo momento, da ambienti governativi è stata più volte fatta trapelare l’intenzione di far scegliere questi senatori dai cittadini contestualmente all’elezione dei Consiglieri Regionali). A differenza degli attuali, non dovranno avere un limite minimo di età per essere eletti, e tutti i cittadini potranno eleggerli (al momento solo quelli con più di 25 anni).

Cosa il nuovo senato può fare:

  • Il Senato ha piena competenza legislativa (cioè discute, approva e vota insieme alla Camera) su tutte le leggi che riguardano i rapporti tra Stato, Unione Europea e territorio, oltre che su leggi costituzionali, revisioni della Costituzione, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali, leggi sulla Pubblica Amministrazione, leggi su organi di Governo, sulle funzioni specifiche di Comuni e Città Metropolitane.
  • Per il resto, può decidere, entro 10 giorni e su richiesta di 1/3 dei suoi componenti, di chiedere alla Camera di modificare una legge. La Camera può decidere di ignorare queste modifiche e votare il disegno di legge senza ascoltare il Senato.
  • Sulle leggi di bilancio o su leggi riguardanti competenze che vengono assegnate esclusivamente alle Regioni, la Camera però può bypassare le modifiche del Senato solocon un voto a maggioranza assoluta.
  • Il Senato non è però del tutto insignificante: con voto a maggioranza assoluta, può proporre alla Camera di discutere e votare delle leggi proposte dai suoi senatori.

… e cosa non può fare:

  • Oltre a quanto già detto sopra, il nuovo Senato non voterà più la fiducia al Governo.
  • Inoltre, non delibererà più lo stato di guerra e non avrà competenze su leggi riguardanti amnistia e indulti.
  • Non avrà competenza nemmeno su leggi che ratificano trattati internazionali, tranne quelle che riguardano la permanenza o meno dell’Italia nell’Unione Europea.

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Il Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica potrà sciogliere unicamente la Camera e non più il Senato, essendo quest’ultima composta da rappresentanti regionali. Inoltre, è il Presidente della Camera a svolgere le funzioni di Capo dello Stato, non più il Presidente del Senato, durante un’eventuale assenza di questi. L’elezione rimane sempre competenza di Deputati e Senatori (non c’è l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, non siamo una Repubblica Presidenziale!), ma diversi aspetti della votazione sono stati modificati:

  • Votano solo Deputati e Senatori. Non ci sono più, ovviamente, i 59 delegati regionali.
  • Nelle prime tre votazioni, servono i 2/3 degli aventi diritto (circa 500 elettori) per eleggere il Presidente.
  • Dalla quarta votazione in poi, la legge precedente prevedeva che il limite scendesse alla maggioranza assoluta (50% +1); con la Riforma, dal 4° al 6° scrutinio sono necessari i 3/5 degli aventi diritto al voto (circa 440 elettori); dal 7° in poi, la maggioranza dei 3/5 dei votanti (cioè quelli che sono presenti e votano effettivamente).

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Via preferenziale per le leggi e coerenza nei decreti

Nella Riforma è presente un meccanismo per consentire l’approvazione rapida di un disegno di legge reputato essenziale per l’attuazione del programma di Governo. Funziona così: il Governo può chiedere alla Camera una “via preferenziale” per l’approvazione di una data legge. La Camera ha tempo 5 giorni per accogliere questa richiesta e, se lo fa, deve discutere e approvare tale legge entro 70 giorni (con massimo 15 giorni di rinvio). Questa possibilità non è prevista per le leggi di competenza del Senato, oltre a una serie di leggi essenziali e non discutibili in tempi brevi (in particolare: le leggi elettorali, la ratifica dei trattati internazionali, le leggi di amnistia e indulto, le leggi di bilancio).

Tra le varie norme legate alle leggi, un aspetto interessante riguarda i decreti legge (cioè gli atti proposti dal Governo, di solito urgenti, e che diventano immediatamente legge ed hanno funzione provvisoria, che diventa definitiva se vengono approvati entro 60 giorni dal Parlamento). I decreti legge, si legge nel testo, devono contenere «misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». L’idea è quella di limitare l’abuso dei decreti legge da parte del Governo e impedire la formazione di un minestrone di argomenti diversi nello stesso decreto. Il contenuto, perciò, dev’essere coerente con ciò che si propone. Infatti, «non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto». Un classico esempio di “ammucchiata” riguarda il cosiddetto “decreto milleproroghe”, nato come strumento eccezionale (ma poi diventato prassi) per quelle disposizioni urgenti da risolvere entro l’anno in corso.

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Abolizione delle Province e del CNEL

Con la Riforma, le province vengono definitivamente abolite (eccetto ovviamente quelle autonome di Trento e Bolzano). Tutte le loro competenze vengono spartite tra Comuni, Città Metropolitane, Regioni e Stato. “Ma non erano già state abolite?”, si dirà: non proprio. Nel corso degli anni, sono state discusse e/o approvate una serie di leggi che hanno progressivamente svuotato il contenuto degli enti provinciali (tra cui la più recente legge Delrio). Per l’abolizione definitiva è necessaria una modifica della Costituzione, che è stata definitivamente approvata con questa Riforma.

Il CNEL, ovvero Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, è un ente statale che ha la possibilità di proporre iniziative legislative (limitatamente alle sue competenze, appunto in economia e lavoro) e di fornire pareri su questi argomenti. Tali pareri, vengono forniti solo se richiesti o dal Governo, o dalle Camere o dalle Regioni. È in pratica un doppione (visto che le sue competenze sono compiute anche da altri organi statali), ma la sua abolizione, più volte richiesta, non era semplice trattandosi di un ente previsto costituzionalmente eliminabile quindi solo con una legge costituzionale.

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Competenze dello stato e delle regioni

Questo è forse il punto più complicato di tutta la Riforma, oltre a essere fortemente dibattuto. La Riforma ridefinisce le competenze dello Stato e delle Regioni, e regola in particolare i rapporti tra le due entità. Vediamo gli aspetti più importanti:

  • Fino ad oggi, le competenze su tutto ciò che è di interesse pubblico erano suddivise in due modi: “esclusive” (cioè riguardanti o solo le Regioni, o solo lo Stato) e “concorrenti” (cioè su cui hanno competenza le Regioni, ma con diversi principi fondamentali dettati dallo Stato). Con la Riforma, la definizione di “competenza concorrente” viene eliminata, mantenendo solo il concetto di competenza esclusiva. Ma come fare, quindi, con tutte quelle materie ibride che riguardano tanto lo Stato quanto le Regioni? E come vengono ripartiti i poteri?
  • Con l’eliminazione della competenza concorrente, buona parte delle competenze va riassegnata o ridistribuita.
  • Viene introdotta, però, la cosiddetta “clausola di supremazia”, in base alla quale la legge dello Stato – su proposta del Governo – può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva di Stato o Regione, se ritiene sia necessaria una «tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale». Lo Stato può perciò agire sulle competenze non esclusive (quelle che erano regolate dalla “competenza concorrente”), nei casi in cui è necessario un intervento per l’unità giuridica/economica dello Stato, o di più generico “interesse nazionale”.
  • Inoltre, viene introdotto il cosiddetto “regionalismo differenziato”. Alle Regioni (tranne quelle a Statuto Speciale e alle Province Autonome di Trento e Bolzano) possono essere attribuite particolari forme di autonomia, a condizione che presentino un equilibrio di bilancio tra le entrate e le spese. La legge per attuare il regionalismo differenziato dev’essere approvata da entrambe le Camere, oltre a necessitare un continuo dialogo tra Stato e Regione interessata.

Va notato, infine, che la maggiore critica a questa parte della Riforma riguarda l’accentramento dei poteri e delle competenze verso lo Stato centrale, che diminuisce l’impatto delle Regioni.

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Leggi di iniziativa popolare

Fino ad oggi, per fare una proposta di legge di iniziativa popolare era richiesto, oltre al testo della legge redatto in articoli, la firma di 50.000 elettori. Con la Riforma, sono richieste 150.000 firme, ma con la garanzia costituzionale che tale legge verrà discussa e votata in Parlamento. Le regole precise di questo meccanismo verranno delimitate dai singoli regolamenti di Camera e Senato.

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Norme sui referendum

Per i referendum abrogativi rimane il limite minimo al 50%+1 degli aventi diritto per rendere valido il voto. Tuttavia, se sono almeno 800.000 gli elettori a richiedere il referendum abrogativo, il quorum si abbassa al 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni per la Camera dei DeputatiSe i richiedenti sono tra i 500.000 e gli 800.000, rimane la regola del 50%+1 degli aventi diritto. Un esempio concreto. Attualmente, sono circa 50 milioni gli italiani che possono votare. Alle ultime elezioni politiche (nel 2013) hanno votato, per la Camera, poco più di 34 milioni di elettori. Se un ipotetico referendum abrogativo venisse richiesto da 800.000 elettori, basterebbero circa 17 milioni di elettori + 1 (il 34% di tutti gli elettori) per rendere valido il referendum. All’ultimo referendum, quello “sulle trivelle”, hanno votato esattamente 15.806.788 elettori. Se, ipoteticamente, fosse stato richiesto da 800.000 elettori e non dalle Regioni, con poco più un milione di voti il referendum sarebbe passato.

Viene poi introdotto un nuovo tipo di referendum: il referendum “propositivo” (detto anche “di indirizzo”), attualmente presente solo in Val d’Aosta e nella provincia di Bolzano. Con questo referendum, la popolazione può richiedere al Parlamento di emanare una nuova legge su un tema particolare (è diverso quindi dalla sopraccitata legge di iniziativa popolare: quella richiede un testo già fatto e redatto in articoli!). Per capire nel dettaglio come funzionerà, però, serviranno nuove leggi da discutere e approvare in un secondo momento.

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Le quote rosa

La parità di genere nelle Camere e nelle Regioni viene stabilita costituzionalmente: con la Riforma, infatti, viene promosso «l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza». Questo significa che lo Stato e le Regioni devono avere delle norme appropriate per garantire la parità di genere nei Consigli Regionali, nella Camera e nel Senato, norme che dovranno essere approntate.

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La corte costituzionale

La Corte Costituzionale, ente supremo che vigila sulla Costituzione e sulla sua applicazione, è composta da 15 giudici: 5 eletti dal Presidente della Repubblica, 5 eletti dalla magistratura e 5 eletti dalle Camere in seduta comune. Con la Riforma, cambia solo che i 5 giudici che oggi sono eletti insieme dalle due Camere vengono eletti separatamente: 3 alla Camera, 2 al Senato.

Inoltre, la Riforma introduce la possibilità di sottoporre alla Corte Costituzionale le leggi elettorali per accertarne la legittimità (questa norma è stata pensata dopo la bocciatura del Porcellum per palese incostituzionalità): almeno 1/3 dei componenti del Senato, o 1/4 della Camera possono richiederlo ed entro 30 giorni la Corte si pronuncia sull’eventuale promulgazione della legge.

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Sin qui le notizie, sicure e non opinabili perché senza alcun filtro o valutazione personale, infatti in basso allego i testi (vigente/oggetto della riforma) per chi avesse voglia e pazienza per verificare; informazioni tratte da vari media, TV, siti on-line e giornali, tra quelli che secondo il sottoscritto non dovrebbero essere schierati, anche se il condizionale in questi casi è sempre opportuno, e quindi certamente non informazioni non prese da “la Repubblica”, “L’Unità”, “Il Giornale”, “la Padania”, “Il Fatto Quotidiano” o il blog di Beppe Grillo.

Questo lungo excursus mi porta a fare queste considerazioni che, ci tengo a sottolineare si tratta solo di valutazioni personali e non di una presa di posizione redazionale: si tratta di una riforma da riformare è vero, forse a malapena raggiunge la sufficienza, però, visto che non ho intenzione di morire in attesa “del meglio” o de “la perfezione assoluta”, e…

considerando che da oltre trent’anni si parla, si parla, si parla soltanto senza mai concludere niente…

considerando che viene abolito il Bicameralismo Perfetto e di conseguenza velocizzato l’iter di approvazione di una legge…

considerando che finalmente con l’inserimento della cosiddetta “clausola di supremazia” si attribuisce allo Stato la preminenza sulle decisioni periferiche che vanno a detrimento dell’intera Nazione, prova ne sia quello che succede con la linea TAV in cui un gruppuscolo di Enti Locali blocca un’opera che in altre parti d’Europa procede speditamente…

considerando che viene abolito il CNEL, il  Consiglio Nazionale Energia e Lavoro, un ente inutile, e con la de-costituzionalizzazione delle Province si spalanca finalmente la porta all’abolizione di quest’altra accozzaglia di enti inutili…

considerando che verrebbe introdotto il controllo preventivo della Corte Costituzionale di una legge elettorale…

considerando che, e questa la dedico a chi dice (anche giustamente peraltro) che “Una Costituzione non si modifica a colpi di Maggioranza”, che le prime votazioni su questa Legge sono state approvate con una media di voti dell’81% a favore, poi con l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica e la conseguente rottura del cosiddetto “Patto del Nazareno” lo scenario improvvisamente è cambiato pur restando immutati i contenuti della Riforma: perché? Perché prima questa Legge andava bene e poi è diventato il male assoluto? Perché?

… ebbene dopo tutte queste valutazioni io sono intenzionato a votare Sì, magari turandomi il naso come diceva il grande Indro Montanelli, ma voterò Sì!

Confesso che alcune motivazioni addotte da Renzi a sostegno del Sì danno fastidio anche a me, come la favola che con questa riforma si aboliscono i costi della politica (per farlo basterebbe un semplice comma in cui s’impone il dimezzamento di Deputati e Senatori e delle loro abnormi indennità), e dà fastidio anche la poca chiarezza di alcuni passaggi dell’eventuale nuova Legge Fondamentale, un esempio? L’articolo 70 prima di 9 parole e ora di oltre 400.Ma comunque mi riesce difficile dire in blocco No!

A quelli che dicono “Io voglio mandare a casa Renzi!”, basta dire che il Referendum NON decide se il Governo attuale sopravvive o meno. Non c’è nessun vincolo di legge che impone al Primo Ministro di dimettersi in caso di fallimento del Referendum. Non si può far decadere Renzi con questa votazione: anzi lui, per sua stessa, tardiva, ammissione, ha sicuramente sbagliato a legare la propria “sopravvivenza politica” all’esito di questa consultazione referendaria, e se in un primo momento abbiamo considerato con favore il fatto che finalmente un politico in Italia caricava sulle sue spalle le conseguenze derivanti dalle sue scelte politiche, del resto anche in Gran Bretagna all’indomani del referendum che ha sancito la Brexit, l’uscita cioè dall’Europa, tenacemente avversata da David Cameron, il giovane Premier si è dimesso pur non essendo obbligato a farlo, in seguito ci siamo ricreduti perché chi si oppone ha concentrato tutto il dibattito sull’esistenza futura del Governo e non sui contenuti della Riforma, dando così l’illusione al cittadino-elettore di poter decidere “di mandare a casa Renzi”.

Un’ultima cosa: io non sono un tesserato del PD né di altri partiti, non sono un amico intimo del Presidente del Consiglio, sono un antifascista convinto anch’io e difensore degli ideali di libertà propugnati dalla Resistenza, anche se queste ultime due caratteristiche i fautori del NO sembrano attribuirle solo a chi si oppone, tengo anch’io, strano ma vero, al futuro della mia Nazione, e non ho la benché minima volontà di convincere nessuno né, tantomeno, di far cambiare idea a chicchessia, mi piace solo pensare con la mia testa perché sono stanco di chi si arroga il diritto di pensare per gli altri.

 

Novelio Santoro

 

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