Antonietta e la bianca Signora

Arrivammo nel piccolo villaggio mentre la campana della chiesa batteva l’ultimo rintocco del vespro. Era stata una giornata dura sia per gli uomini che per i cavalli.
Cercammo una taverna ma le poche esistenti avevano già sbarrato tutte le imposte, ci accontentammo quindi di un giaciglio di fortuna, sfidando le intemperie ed i pericoli della notte.
Eravamo giunti nel mattino, a bordo di una galea, nei pressi di una cittadina marina, dominata dall’alto da un grande castello che si diceva essere abitato da un drago, dopo essere partiti dalla terra dei Sicani.
Cosa ci portava così lontano dal nostro focolare? Una storia, non sappiamo se vera, di una veggente che, forse, poteva salvare il nostro capitano.
I primi raggi del sole, in una umida mattina, iniziarono a filtrare tra gli alti rami di antichi castagni, dal terreno una leggera nebbia saliva lenta, profumi di erbe selvatiche invasero le nostre narici e la fresca e pulita aria del luogo riempì i nostri polmoni.
Ma dove trovare la veggente?

Nei campi, quasi tutti coperti da maestose vigne, i contadini erano già dietro l’aratro, che trainato da buoi, procedeva lentamente. Non ci restava che chiedere.
Ci avvicinammo ad un vecchio, curvo per i troppi anni che portava sulle spalle, e chiedemmo.

La risposta del vegliardo fu rapida quanto lo scoccare della freccia: “quale veggente cerchi? Antonietta la pazza?” e scoppiò a ridere mostrandoci la bocca sdentata.
Era mai possibile? Tanti giorni lontani da casa, sfidando la sorte, solo per venire in uno sperduto villaggio per cercare una pazza? No non era vero, il monaco non ci avrebbe mai raccontato una simile bugia. Lo sconforto si impossessò del nostro animo, eppure pochi mesi prima, in una taverna di Girgenti, il monaco ci raccontò la storia di una giovinetta che parlava con la Madre di Gesù, Maria. Era pazzo pure lui? Era un impostore? No, il suo racconto era vero, almeno così volevamo credere e partimmo, sfidando i rischi di un viaggio tanto pericoloso e ora non potevamo non trovare la ragazza.

Il vecchio, che puzzava di vino, ci disse che la ragazza che cercavamo era una pazza, impazzita per la perdita della madre e dal fatto che il padre, risposatosi, l’avesse costretta ad avere una matrigna che la trattava peggio di una sguattera e che se volevamo incontrarla dovevamo recarsi nel villaggio detto dei Vignai.
Trovarlo non fu difficile. In uno spiazzale, inondato di sole, seduta su uno sgabello di legno, Antonietta.
Piccola, vestita di umili vesti, aveva due occhi profondi e luminosi, occhi che però emanavano tanta tristezza. Restammo fermi davanti la minuscola sagoma. Le sue labbra sottili si aprirono e la sua voce, quasi angelica, ci tranquillizzò. Dall’interno della magione, urla e grida. Era la matrigna…era giunta l’ora del lavoro per la piccola Antonietta.

Poco distante, nel buio più totale, un piccolo rivolo forniva acqua al villaggio, era quello il luogo dove, impaurita come un cucciolo di cerbiatto, Antonietta doveva recarsi, non una torcia non una compagnia, sola, con la propria paura.
Era giunto il momento della verità. Seguimmo la piccola nascosti nel folto della vegetazione, sentivamo lo scorrere dell’acqua. Restammo nascosti in attesa della rivelazione. Una debole luce in lontananza, una quiete mai provata prima. Antonietta riemerse dal buio.
Salmodiava qualcosa, ci sembrò di capire le parole “bagna e torci”, ma non ne comprendevamo il significato. I suoi occhi erano più luminosi del solito il suo viso era ornato di un magnifico sorriso.
Aveva trovato la sua “bianca Signora“.
[Fine]

 

 

 

 

 

 

 

 

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