Quel portone sul passato

Con te se ne va uno degli ultimi frammenti dell’infanzia. Con te si chiude un luogo insostituibile: il portone aperto del vico, il nostro ultimo baluardo di una pratica popolare che è il prodotto della sana vita di paese, dove tutto si condivide, dove il vicinato è una famiglia. Punto di riferimento nelle sere d’estate, con le sedie pronte per gli adulti e gli scalini per i più piccoli, una specie di “cavea” in cui chiacchierare per ore allegre in compagnia, “a freschià”.

Con te va via il buongiorno al mattino dalla finestra di fronte e il suo “Se sente n’addore, Urghetella che sta a cucinà?”. Con te vanno via le sere d’autunno con l’immancabile “Oh m’aggiu abbuscatu dui castegne, ‘amma fa le vrole vecinu a ru fuocu?”.

Con te si chiude un capitolo denso di ricordi, per chi ha avuto la fortuna di crescere circondato da tante “zie” e “nonne” – le care zi’ Giuanninella, Tittina, zi’ Ulinda, zi’ Girda, zi’ Viola, zia Rosa, zi’ Mariuccia – acquisite dalla condivisione degli stessi spazi, da quelle mura bianche che ti scaldano; e così si chiude una fetta di vita trascorsa immersi nel calore del microcosmo di un vico di paese.

Nel mio immaginario quel portone continuerà a restare per sempre aperto, spalancato su un passato che rivive ogni giorno, insieme alle tante presenze che lo popolano, alle loro voci, ai profumi della cucina, alle risate, a zi’ Settembrino che prepara il tabacco per la pipa, alle canzoni intonate in estate da papà, ai loro echi intramontabili.

Ciao Mariagrà! 

Adele

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