Proverbi: la saggezza di un popolo, in pillole!

Il Placito Capuano, risalente al 960 d.C. viene comunemente considerato l’atto di nascita dell’ italiano volgare.

Il giudice Arechisi deve decidere, in una controversia tra don Aligerno, abate del monastero di Montecassino e un privato, Rodelgrimo di Aquino (evidente l’origine longobarda dei nomi), sul possesso di alcune terre. L’abate sostiene che appartengono al monastero per diritto di usucapione (principio ancor oggi valido: chi possiede e utilizza senza contestazioni da alcuno, un certo bene, per trenta anni, ne diventa l’effettivo proprietario). Ecco come si presenta la parte scritta in volgare all’interno del testo in latino:

«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti»

“So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, trent’anni le ha tenute in possesso l’amministrazione patrimoniale di San Benedetto (l’abbazia di Montecassino)”


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QUANDO si visita un paese, una città, se ne percorrono alcune strade o ci si reca in alcuni quartieri a distanza di anni, anche chi vi è nato e vi ha trascorso parte della propria esistenza, spesso fatica a distinguere l’ubicazione di “quella strada”, di “quella casa” o di “quel locale”. Una sola cosa è e rimarrà sempre uguale nel proprio borgo natio: la lingua dialettale, la lingua del popolo, la lingua comune,
quella che gli antichi chiamavano koinè dialectos e che agli albori della lingua italiana veniva più semplicemente indicata col nome di volgare (dal latino vulgus=popolo), che con il passare dei secoli si era notevolmente distaccato dal latino classico, parlato ormai da una ristretta cerchia di nobili, ecclesiastici e intellettuali: si badi bene al DIALETTO non si vuole certo dare una connotazione negativa, né d’altronde si potrebbe, anzi è bene conservare viva la memoria di quella che rappresenta pur
sempre la radice della nostra lingua.

In verità sarebbe ben più corretto parlare di vari dialetti, visto che è stato il concorso di più componenti linguistiche regionali ad aver dato origine al nostro caro ITALIANO, incantevole, aulico, raffinato, elegante, ma troppo spesso trattato male anche dagli “addetti ai lavori” che in nome di un’onnipresente esterofilia sottopongono la nostra lingua a molteplici ingiurie infarcendo il proprio eloquio di barbarismi vari. Per fortuna il dialetto è come le radici di un albero, rimanendo sottoterra è poco esposto agli oltraggi di tanti pseudo-acculturati che cercano quotidianamente di scalfire il suo prestigio: anche Dante Alighieri nel suo De vulgari eloquentia pone alla base dell’italico idioma la nobiltà e la forza descrittiva dei volgari municipali della penisola e illustra come «la lingua volgare è quella che, senza bisogno di alcuna regola, si apprende imitando la nutrice».

Ecco, è proprio questo il senso di questa sezione del sito, così come di altre del sito stesso: conservare viva quella lingua appresa da bambini. Ovviamente col passare degli anni è oltremodo giusto e doveroso sostituirla poco a poco con l’italiano correntemente parlato in ogni parte del Paese e in molte parti del mondo, però è altrettanto giusto conoscere e conservare l’origine del nostro modo di parlare, e quale modo migliore per farlo se non abbinare il nostro caro dialetto ai PROVERBI che sono vere e proprie pillole di saggezza popolare? Giovanni Verga, scrittore siciliano vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo e considerato il massimo esponente del verismo, li teneva nella massima considerazione tanto che nel suo romanzo I Malavoglia il protagonista, Padron ‘Ntoni, li cita spesso e li usa quasi come una litania: secondo il vocabolario Treccani un proverbio è un «breve motto, di larga e antica tradizione, che esprime, in forma stringata e incisiva, un pensiero o, più spesso, una norma desunti all’esperienza»: conserviamole orgogliosamente queste antiche tradizioni, facciamoci
forti delle passate esperienze.

Ogni giorno (anzi ad ogni accesso) nel riquadro [Un proverbio a caso]* troverete un proverbio o un modo di dire nostrani: molti sono propri di questi luoghi avendo una connotazione prettamente territoriale, altri facendo parte del bagaglio culturale di una nazione intera ovviamente li ritroviamo anche in altre parti d’Italia. Accanto alla versione dialettale nuda e cruda vi si troverà la versione italianizzata, e per forza di cose, la traduzione non potrà essere sempre letterale; saranno anche accompagnati da qualche riga di commento, ma per molti di essi ogni annotazione sarà del tutto superflua.

Buona lettura e ricordiamo sempre che

 

“RI PRUERBI ANTICHI NUN FALLISCUNU”!

* ci corre l’obbligo di ricordare che quest’articolo risale alla prima metà del 2010 e che nel corso degli anni abbiamo rinunciato alla funzionalità illustrata

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