Eduardo De Filippo: #Natioggi

«Sono nato a Napoli il 24 maggio 1900, dall’unione del più grande attore-autore-regista e capocomico napoletano di quell’epoca, Eduardo Scarpetta con Luisa De Filippo, nubile. Mi ci volle del tempo per capire le circostanze della mia nascita, perché a quei tempi i bambini non avevano la sveltezza e la strafottenza di quelli d’oggi e quando a undici anni seppi che ero “figlio di padre ignoto” per me fu un grosso choc. La curiosità morbosa della gente intorno a me non mi aiutò certo a raggiungere un equilibrio emotivo e mentale. Così, se da una parte ero orgoglioso di mio padre, della cui Compagnia ero entrato a far parte, sia pure saltuariamente fin dall’età di quattro anni, d’altra parte la fitta rete di pettegolezzi, chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente. Mi sentivo respinto, oppure tollerato e messo in ridicolo solo perché “diverso”. Da molto tempo, ormai, ho capito che il talento si fa strada comunque e niente lo può fermare, ma è anche vero che esso cresce e si sviluppa più rigoglioso quando la persona che lo possiede viene considerata “diversa” dalla società. Infatti, la persona finisce per desiderare di esserlo davvero, diverso, e le sue forze si moltiplicano pur di raggiungere la meta prefissa.

Tutto questo però allora non lo sapevo e la mia “diversità” mi pesava a tal punto che finii per lasciare la casa materna e la scuola e me ne andai in giro per il mondo da solo, con pochissimi soldi in tasca ma col fermo proposito di trovare la mia strada, nella strada che avevo già scelto da sempre, il teatro, che è stato ed è tutto per me. Inutile parlare delle difficoltà, degli stenti, della fame: chi, da indipendente, vuole perseguire un ideale, va sempre incontro a periodi travagliati, ma se l’ideale ce l’hai e sai di poterlo servire degnamente sopporti ogni cosa. Per anni e anni feci di tutto: comparsa anche in cinema, attrezzista, direttore di scena, caratterista. Poco a poco mi feci un nome come attore e regista. Nel 1931 formai la “Compagnia Teatro Umoristico I De Filippo”, con Titina e Peppino, e per anni passammo di successo in successo.

Intanto stava per finire la guerra e con essa il ventennio fascista. Finalmente avrei potuto cambiare il mio modo di scrivere; mentre, durante il fascismo, avevo dovuto nascondere le verità sociali sotto il grottesco e l’assurdo per non essere censurato, adesso potevo parlar chiaro e cimentarmi nella forma teatrale alla quale da sempre avevo aspirato, ed è poi la più antica: fusione ora armoniosa ora stridente tra riso e pianto, grottesco e sublime, dramma e commedia. Mi domandavo: “Ma perché per oltre due ore il pubblico deve o solo ridere o solo piangere? La risposta che mi diedi fu una sola: “Non c’è ragione valida, c’è solo l’uso, divenuto tradizione, di tale artificiale divisione”. Scrissi allora “Napoli milionaria”, fondai una nuova compagnia, “Il Teatro di Eduardo”, e, confortato dal grande successo ottenuto dal nuovo genere teatrale, ho continuato per trent’anni a scrivere e recitare una ventina di commedie, oggi conosciute e recitate in tutto il mondo. Riassumere una vita artistica tanto lunga e tanto piena di avvenimenti (mi sono occupato di cinema, televisione, radio, regie liriche; ho costruito un teatro a Napoli; ho scritto poesie, saggi e articoli) non è cosa facile: tutto sembra importante eppure niente pare indispensabile, nel proprio passato, tanto che a un certo punto non si riesce a capire se si è detto troppo o troppo poco. Forse l’unica cosa che conta veramente nella vita di un artista è il futuro, ed il passato, a insistervi a lungo, limita la creatività e la voglia di essere creativi
(Eduardo De Filippo, da “Eduardo De Filippo. Vita e opere”, Mondadori, 1986)

Dopo circa trent’anni, Eduardo De Filippo continua a esercitare il fascino umano e artistico che soltanto i grandissimi sanno emanare. Quando apparve per la prima volta su di un palcoscenico, il teatro napoletano da una parte aveva perduto lo smalto delle sue più gloriose tradizioni, mentre dall’altra parte stava muovendo i primi, incerti passi, quel nuovo genere popolare, di un realismo spietato e favoloso insieme, dove certi bozzetti di vita sembravano ripetere scene colte nella strada vicina e certi personaggi sembravano quasi riconoscibili fra il pubblico delle platee napoletane. Eduardo è riuscito non solo a interpretare genialmente i valori superstiti e più autentici di un filone che pareva spento, ma soprattutto a cogliere e a seguire i segni di una evoluzione, le nuove richieste di un realismo vitale, espresse dal pubblico napoletano, prima, e da quello italiano, europeo, mondiale, più tardi.  Fu autore dapprima anonimo, fertilissimo inventore di personaggi e di trame per la compagnia di teatro umoristico che fondò insieme ai fratelli Titina e Peppino, e furono testi quasi tutti in chiave clamorosamente comica, ma sempre rivelatrice di un’acuta e a volte crudele osservazione umana; in seguito, fu autore sempre più personale, impegnato, man mano che all’istinto sicuro, si andava unendo una padronanza più matura e consapevole dei mezzi espressivi e soprattutto un’ansia sincera e fervida di comprensione umana. Sotto questi ultimi profili, l’arte di Eduardo-autore è esplosa nel primissimo dopoguerra: a questo periodo risale un testo memorabile, Napoli Milionaria!, che mostra la vicenda di un povero bravo uomo, che viene deportato dai Tedeschi e al suo ritorno trova la propria famiglia coinvolta in un’aria di cinismo e di degradazione morale, senza con ciò abbandonarsi alla disperazione, ma riuscendo, anzi, con tolleranza e affettuosa comprensione a riannodare i fili spezzati e a far capire che basta aspettare con fiducia il momento in cui la «nottata sarà passata». Eduardo colse realmente la storia amara di una città, la sua disperazione e la sua crisi sotto l’impulso elementare di una qualsiasi sopravvivenza.

Eduardo: il periodo “aureo”, gli applausi, il successo

Eduardo
Eduardo in scena

Con la fine della guerra, iniziò il periodo aureo della sua produzione ed Eduardo cominciò ad affollare i teatri con testi da lui scritti, interpretati e diretti, in cui ritraeva la dolente, comica e variegata realtà napoletana. Non c’è italiano che non conosca almeno un titolo della sua copiosissima produzione: Questi fantasmi!, Natale in casa Cupiello, Filumena Marturano, Le voci di dentro, Il Sindaco del Rione Sanità, Mia famiglia, Gli esami non finiscono mai, solo per citarne alcuni: tutti drammi di sempre più scoperta e tesa ambizione nell’impegno d’interpretare i problemi e le angosce dell’uomo contemporaneo e nei quali lo sconforto, il pessimismo che nasce dalla constatazione dell’impossibilità o perlomeno dell’estrema difficoltà di comunicare con gli altri, persino con i propri familiari, non vanno mai disgiunti da una sia pur flebile speranza, da un sia pur solo sottinteso appello a una comprensione, a una verità da conquistarsi.

Fu anche autore di versi in dialetto napoletano: si tratta di spontanee riflessioni filosofiche, etiche, sociali ma anche più intime, insomma, un prodotto sincero e autorappresentativo.

Pigliammoce sta vita cumme vene,
llassammo for’ ‘a porta ‘a pucundria,
mparammece a campà c’ ‘a fantasia:
nce sta cosa cchiù bella pè campà?
‘A fantasia se sceta ogne matina
comme si fosse prencepe rignante,
affonna ‘e mane aperte int’ ‘e brillante
e nun s’ ‘e ppiglia: che s’ ‘e ppiglia a ffa?
E che curredo tene! Nu mantello
ca luce cchiù d’ ‘o sole e nun è d’oro;
quanno se mena ncuollo stu tesoro,
abbaglia ‘a vista: nun se può guardà.
Pò tene nu relogio cumpiacente,
cu sissanta minute d’allegria,
mmiez’ ‘o quarante liegge: FANTASIA
e fa tà-tì, tà-tì, nun fa tì-tà…
(“Fantasia”, 1956, da “Eduardo De Filippo. Le poesie”, Einaudi, 2004)
***
Ma al centro del progetto eduardiano c’è il teatro: non semplicemente lo spettacolo, ma quel «mistero», che è nato con l’uomo e che in duemilacinquecento anni ha conosciuto splendori e miserie, ma ha continuato a sopravvivere a ogni crisi e continuerà a farlo, nonostante la scoperta di mezzi espressivi e di comunicazione artistica più moderni e potenti:
«Sono le 21.30. Fra un quarto d’ora avrà inizio lo spettacolo. Ecco l’istante nel quale sento soprattutto la responsabilità del mio compito: questa folla è anonima, sconosciuta, esigente. E mai, come in questo momento, io sono ancora completamente fuori del cerchio della finzione. Non mi sento ancora convinto di ciò che devo essere tra qualche minuto sul palcoscenico. I minuti inesorabili mi inseguono. E nella loro corsa mi prendono, mi travolgono, mi spingono verso la porticina del palcoscenico, che si richiude, sorda, alle mie spalle. La barriera è chiusa. Due ritocchi al trucco. Il campanello squilla, una prima, una seconda volta. La tela si leva. Ecco le piccole stelle. Ecco il teatro. Ecco l’attore.» 
(Eduardo De Filippo, da “Vita di Eduardo” di M. Giammusso, Minimum Fax, 2009)
***
Al di là di tutto, resta eterna per me e per i tanti appassionati, la sua immagine rugosa e profonda, la sua voce piena di echi, per coloro che col cuore sanno coglierla: echi di domande umide di malinconia («…Te piace ’o presebbio?»); di grida roche e beffarde («Non ti pago! Non ti pago!»); di sospiri rassegnati («…S’ha da aspetta’, Ama’. Ha da passa’ ’a nuttata»); di chiacchiere confidenziali («…A noialtri napoletani, toglieteci questo poco di sfogo fuori al balcone…»); di scatti rabbiosi («…Te distruggo, Filume’, te distruggo!»). Personalmente, nel quadro generale così sconfortante in cui viviamo, sento fortemente l’esigenza di rivolgermi indietro a osservare che cosa di sano, limpido, sia stato fatto o detto; e tra le non molte cose che vi ritrovo, risuona per me indelebile il suo messaggio di speranza, partecipazione e ricostruzione attive, che «passi la nottata»…

Eduardo
Eduardo
Adele Migliozzi 

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