Erri assolto: “Le parole non si processano, si liberano!”

Torino, 19 ottobre 2015. Società civile, molti NoTav con il fazzoletto al collo, molta stampa assedia sin dalle 8 del mattino l’ingresso del tribunale e l’aula dove si svolgerà il processo. Alle 9:30 arriva il giudice. Sono previste le repliche rispetto allo scorso dibattimento. Non ci sono. Né l’accusa né la difesa hanno da integrare gli ampi impianti processuali del 21 settembre scorso. C’è, invece, la dichiarazione spontanea dell’imputato. Si alza in piedi Erri De Luca, con la sua magrezza ferma, e inizia a leggere:

«Sarei presente in quest’aula anche se non fossi io lo scrittore incriminato per istigazione. Al di là del mio trascurabile caso personale, considero l’imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie. Perciò considero quest’aula un avamposto affacciato sul presente immediato del nostro paese. Svolgo l’attività di scrittore e mi ritengo parte lesa di ogni volontà di censura. Sono incriminato per un articolo del codice penale che risale al 1930 e a quel periodo della storia d’Italia. Considero quell’articolo superato dalla successiva stesura della Costituzione della Repubblica. Sono in quest’aula per sapere se quel testo è in vigore e prevalente o se il capo di accusa avrà potere di sospendere e invalidare l’articolo 21 della Costituzione. Ho impedito ai miei difensori di presentare istanza di incostituzionalità del capo di accusa. Se accolta, avrebbe fermato questo processo, trasferito gli atti nelle stanze di una Corte Costituzionale sovraccarica di lavoro, che si sarebbe pronunciata nell’arco di anni. Se accolta, l’istanza avrebbe scavalcato quest’aula e questo tempo prezioso. Ciò che è costituzionale credo che si decida e si difenda in posti pubblici come questo, come anche in un commissariato, in un’aula scolastica, in una prigione, in un ospedale, su un posto di lavoro, alle frontiere attraversate dai richiedenti asilo. Ciò che è costituzionale si misura al pianoterra della società. Sono incriminato per avere usato il verbo “sabotare”. Lo considero nobile e democratico. Nobile perché pronunciato e praticato da valorose figure come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici. Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento operaio e alle sue lotte. Per esempio “uno sciopero sabota la produzione”. Difendo l’uso legittimo del verbo “sabotare” nel suo significato più efficace e ampio. Sono disposto a subire condanna penale per il suo impiego, ma non a farmi censurare o ridurre la lingua italiana. “A questo servivano le cesoie”: a cosa? A sabotare un’opera colossale quanto nociva con delle cesoie? Non risultano altri insidiosi articoli di ferramenta agli atti della mia conversazione telefonica. Allora s’incrimina il sostegno verbale a un’azione simbolica? Non voglio sconfinare nel campo di competenza dei miei difensori. Concludo confermando la mia convinzione che la linea di sedicente alta velocità in Val di Susa va ostacolata, impedita, intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa della salute, del suolo, dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata. La mia parola contraria sussiste e aspetto di sapere se costituisce reato.»

Erri tace: dopo le sue parole c’è un silenzio teso, commosso…

Erri

Si trattiene dal pubblico un moto d’adesione, che nel suo comprimersi si manifesta più forte. Il giudice stabilisce per le ore 13 la lettura della sentenza. Ma qualunque sia l’esito, il “processo alle parole” rimarrà la memoria di quell’avamposto di cui parla De Luca nella sua dichiarazione: intanto, le parole sono state processate. Forse non ci sarà condanna per la persona che le ha pronunciate, ma l’incriminazione, il tentativo di trasferire criminalità a una parola di dissenso, resterà. Insieme allo Stato che processa le parole, abbiamo assistito al silenzio che si fa complice di una censura. Anche questo silenzio fa parte del processo e di quell’avamposto: si poteva non condividere “la parola contraria”, ma si doveva difendere la libertà di poterla pronunciare. Non c’è assoluzione che possa risarcire lo scrittore Erri De Luca e tutti noi del pericolo di non poter più dire a voce alta, se non a rischio d’incriminazione, «non sono d’accordo». Anche se il processo si è concluso alle ore 13:15 ed Erri è stato assolto «perché il fatto non sussiste», resterà persistente questo odore di lontananza dalla libertà, questa complicità distratta a un atto d’intimidazione del pensiero.

Adele Migliozzi

Lascia un commento