24 marzo 1944: la strage delle Fosse Ardeatine

Il 25 marzo 1944 un laconico comunicato su Il Messaggero avvisò i romani che l’attentato dei partigiani dei GAP (Gruppi d’Azione Patriottica) contro una colonna tedesca di passaggio in via Rasella a Roma il martedì 23 marzo aveva causato la morte di 32 uomini (un altro morì poche ore dopo, e in tutto furono 33):

Il comando tedesco ha perciò ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti-badogliani siano fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito

La reazione fu immediata e violentissima: l’ordine era stato impartito dallo stesso Hitler. Già poche ore dopo l’esplosione dell’ordigno che aveva colpito i militari della compagnia Polizei Regiment Bozen, la sera del 23 marzo 1944, il comandante delle S. S. a Roma, tenente colonnello Herbert Kappler, organizzò l’azione punitiva. Il mattino successivo era pronta una lista di 270 persone da fucilare. Alle 9.00 Kappler interpellò. tramite il commissario di P.S. Alianello, il vice capo della polizia italiana Cerruti che chiedeva altri 50 nomi scelti tra i detenuti nelle carceri italiane. Alle 9.45 il questore Caruso garantì che per le ore 13.00 la lista di morte sarebbe stata completa e alle 12.00 l’elenco parziale dei prescelti era stilato: tra essi numerosi detenuti per reati comuni, ebrei incarcerati per motivi razziali, persone innocenti catturate poco prima, persino due ragazzi di quindici ami. Non rimaneva che organizzare il plotone d’esecuzione.

Il maggiore Dobrik della compagnia Bozen, cui spettava la vendetta, rifiutò accusando l’anzianità e lo scarso addestramento dei suoi uomini; il generale Kurt Maeltzer, comandante del territorio di Roma, incaricò lo stesso Kappler. «Dissi poi a Schutz» avrebbe ricordato l’ufficiale durante il processo a suo carico nel 1948, «che per la ristrettezza del tempo, si sarebbe dovuto sparare un sol colpo al cervelletto di ogni vittima e a distanza ravvicinata per rendere sicuro il colpo, ma senza toccare la nuca con la bocca dell’arma».

Alle 14.00 un testimone che, non visto, si trovava in un campo presso la zona isolata delle cave di tufo lungo la via Ardeatina, vide giungere due furgoni tedeschi che in retromarcia si avvicinarono ai cunicoli e scaricarono le persone che erano a bordo, 70 o 80, per poi ripartire per un nuovo carico. L’operazione si svolse con rapida efficienza: cinque militari tedeschi scortavano cinque vittime all’interno della cava debolmente illuminata dalla luce delle torce. In fondo al cunicolo, dove la cava si apre orizzontalmente, le vittime venivano costrette a inginocchiarsi e quindi trucidate con un colpo di pistola alla nuca.

Lo stesso Kappler non mancò di partecipare all’esecuzione: «Vicino l’autocarro presi in consegna una vittima, il cui nome veniva da Priebke (capitano SS) cancellato da un elenco da lui tenuto». Ben presto i cadaveri si accumularono, offrendo uno spettacolo atroce nelle grotte poco illuminate. Un militare avrebbe confessato:

Avrei dovuto sparare, ma quando venne alzata la fiaccola e vidi i morti, svenni

Se i primi gruppi di vittime erano stati facilmente prelevati dalle celle di via Tasso, dalla pensione Oltremare, sede della “polizia speciale” del fascista Pietro Kock, e dal terzo braccio del carcere di Regina Coeli, a disposizione dei tedeschi, non erano ancora stati consegnati i cinquanta promessi dal questore Caruso. Nell’impazienza di concludere il “lavoro”, il tenente  Tunath, che si trovava a Regina Coeli, prima minacciò che se non si mandava subito l’elenco avrebbe preso il personale carcerario, poi cominciò a prelevare detenuti a casaccio. Verso sera la lista con gli ultimi cinquanta disgraziati venne in qualche modo messa insieme. Con l’aiuto delle mitragliatrici, alle 19.00 l’operazione era conclusa. I corpi vennero ammucchiati fino all’altezza di un metro verso il fondo della cava.

Poi le mine occlusero l’accesso alle cave.

Dopo l’esecuzione, uno scrupoloso quanto tardivo conteggio delle vittime, rivelò che nella fretta si erano uccise 5 persone più del previsto, in tutto 335. Solo con l’arrivo degli Americani, dopo il 4 giugno 1944, le Fosse Ardeatine rivelarono il loro indicibile orrore.

Condanne nel dopoguerra

Herbert Kappler venne processato e condannato all’ergastolo da un tribunale italiano. La condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell’ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. Riuscì ad evadere dall’ospedale militare del Celio, il 15 agosto 1977, e a rifugiarsi in Germania, ove morì pochi mesi dopo.

Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, è stato arrestato ed estradato in Italia, ove, processato, è stato condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. È morto a Roma l’11 ottobre 2013.

Il generale Kurt Maeltzer, il generale E. Von Mackensen, comandante della 14ª armata, colui che aveva fissato la proporzione di 1 a 10 che in un primo tempo Hitler avrebbe voluto anche maggiore (addirittura 50 italiani per ogni tedesco), furono riconosciuti colpevoli e condannati a morte tramite fucilazione. L’Ufficiale Ratificante confermò i verdetti su entrambi gli accusati ma commutò le condanne a morte in ergastoli.

Non si poteva, né si doveva, ignorare le più alte autorità militari tedesche in Italia, compreso il maresciallo Albert Kesselring, comandante di tutte le forze tedesche in Italia, catturato a fine guerra, processato e condannato a morte il 6 maggio 1946 da un Tribunale Alleato per crimini di guerra e per l’eccidio delle Fosse Ardeatine: la sentenza fu, però, commutata nel carcere a vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania, per morire nel 1960.

Secondo quanto dice lo storico Mauro Canali, dell’Università di Camerino, le difese degli imputati nazisti accusati di crimini di guerra, cercarono di far passare il principio che ogni azione fosse la cieca obbedienza ad un comando proveniente dall’alto, muovendosi nella distinzione tra ostaggi e rappresaglie, e quindi legittimo ricorso alla violenza, anche per la difesa della vita dei propri soldati, all’uccisone di ostaggi, cosa prevista dal diritto internazionale e in particolare dalle leggi di guerra. L’accusa invece sosteneva che quelli non erano ostaggi, ma prigionieri presi precedentemente e che quindi non ricadevano sotto la figura giuridica di “ostaggi”.

Chiaramente aveva ragione l’accusa perché nel caso delle Fosse Ardeatine vennero uccisi patrioti che stavano in prigione da ben prima dell’attentato stesso e furono quindi vittime di una vera e propria rappresaglia.

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