Michele Lepore sul nuovo libro di Antonio Cerbarano

Caro Antonio,

con L’indagine sulla città scomparsa…, ancora una volta come nel tuo precedente libro – Labirinti – entri nella realtà che ci invade e pervade con tentacoli assurdi ed inestricabili.

Penetrare, spiegare questa realtà è un’impresa disperata, che pur tuttavia siamo spinti a scandagliare per esigenza dello spirito umano. Lo specchio della realtà si è frantumato e rimangono solo frammenti, “craste” di esso. E noi ci specchiamo in questi frammenti senza poter cogliere la verità nella sua complessa concretezza. Pertanto le nostre indagini risultano sempre incomplete, monche, spesso fuorvianti. Molte volte pasolinianamente “sappiamo”, ma non abbiamo le prove. Per cercare le quali ci smarriamo in una foresta di indizi da cui non riusciamo a districarci.

Copertina
Copertina

Come avviene al tuo ispettore che, coscienziosamente, cerca di indagare sugli strani casi della Città scomparsa. Egli subito viene a trovarsi a contatto con un mondo assurdo, kafkiano, senza nessuno afflato metafisico, però, bensì terreno, palpabile se solo ci fermiamo ad osservare, a respirare gran parte delle cose che ci circondano. La descrizione della città, esasperando,contorcendo la realtà per motivi espressivi letterari, che trovo molto efficaci per la materia che tratti, la scomparsa dei suoi abitanti, le morti continue e misteriose che si susseguono non sono che simboli del mondo, della vita che stiamo attraversando.

Il tuo Ispettore dal nome kafkiano, Yoseph Usak, è stato incaricato di indagare sugli avvenimenti che si sono verificati e si verificano nella città di Xadis. Niente di straordinario. Lo straordinario si verifica dopo quando viene a trovarsi in un paesaggio disfatto, lunare e in situazioni incomprensibili, assurde. Già nelle difficoltà lungo il cammino per raggiungere la città, sembra vedere l’agrimensore di Kafka che va verso il Castello, poi quella desolazione paesaggistica, quegli individui notturni che appaiono e scompaiono come ombre vaganti nel nulla. Gli strani, sfuggenti comportamenti dell’Autorità a cui Yoseph si rivolge per eventuali chiarimenti, le insicure testimonianze di alcuni abitanti superstiti non portano a nessuna chiarezza.

Solo vaghe confuse intuizioni con cui il nostro ispettore cerca di comporre il mosaico che alla fine risulterà incompleto, come di conseguenza sarà incompleto il rapporto che dovrà presentare ai suoi superiori, i quali poi sembra che siano scomparsi, che si siano dimenticati di lui e della ispezione che gli avevano affidato. La realtà, la verità rimane misteriosa, inaccessibile, come quella Torre che si erge minacciosa nel paesaggio desertificato. Una Torre apparentemente innalzata per raccogliere i rifiuti. Ma cos’altro contiene? Con quali materiali è stata costruita?

Caro Antonio, noi lo sappiamo, molti lo sanno, ma non abbiamo le prove. Noi vediamo notturni TIR carichi, coperti meticolosamente da pesanti teloni attraversare il paesaggio lunare. Cosa trasportano, dove vanno,verso quale Torre? E conosciamo tanti ingegneri, compagni dell’ingegnere che ha costruito la Torre del tuo libro. Li incontriamo ogni giorno, sempre col sorriso sulle labbra, sempre a darti una manata amichevole sulla spalla, ma bisognerebbe fare attenzione ai loro occhi, piccoli, come bottoncini di stivaletti di donna, occhi che non hanno profondità, e nessuna parvenza di generosità umana.

Ecco, caro Antonio, ciò che mi è venuto da dire sul tuo libro. Letto con un po’ d’angoscia, sì, ma con vivo piacere letterario per il clima in cui mi sono sentito avvolto e per il piacere letterario specie in alcuni monologhi di alcuni personaggi.

Michele Lepore

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