La Cantata de’ ri “Zèngheri e Cauraràri”

“Pe spicciane ‘sta matassa…”, recita uno de “ri Zengheri” della Cantata: ed effettivamente, il suo testo è una sorta di matassa da sbrogliare. Ne ignoriamo l’origine e i canali di diffusione nel nostro paese; ciò che sappiamo, è che era eseguito a Casale e nel sessano nel periodo di Carnevale, generalmente a chiusura della “Cantata dei Mesi”, dunque in serata, percuotendo degli strumenti. Gli artigiani, cui si fa riferimento nella breve scenetta, giungevano saltuariamente da varie aree della Campania ed erano associati all’idea di uomini rudi e litigiosi, usi a batter ferro e rame; facevano tappa nelle case delle massaie del paese, dove ritiravano pentole, “tielle” e “caurari” di rame da stagnare e consegnavano quelli che avevano già rivestito.

Vi è una diffusa italianizzazione nel testo, probabilmente motivata dalla sua stesura scritta successiva ad una originaria formulazione orale, tramandata nel tempo e forse in parte alteratasi (ad esempio, originariamente “Cusènza” era indicata con “Caiènza”). Possiamo individuarvi delle parole tipiche del nostro vocabolario dialettale, non solo casalese ma anche sessano e più ampiamente campano: “ri cauraràri”, artigiani dediti alla costruzione e al commercio dei “caurari”, grosse pentole, solitamente di rame; gli “stagnari” e il “sauratore” , lemmi essenzialmente sinonimici per indicare i calderai che lavorano con lo stagno; “scuscenata”“vaiassa”, termini accomunati da una veste fonica molto densa e concreta, dagli inevitabili risvolti comici. “Zengheri”, chiaramente, in questo contesto non indica l’etnia, ma una banda confusa di persone chiassose e non del luogo. Da notare ancora l’irregolarità metrica delle strofe, altro elemento fortemente comico per la resa sempre personale e talvolta anomala dell’esecuzione. Quale potrebbe essere il legame con Cosenza? Forse, semplice nome di luogo posto lì, senza un preciso motivo, puramente ad indicare una provenienza lontana della banda di suonatori aggiustapentole; o forse ancora, l’immotivatezza della scelta è un gioco intenzionalmente cercato per suscitare il riso proveniente dal nonsenso. 

Qualunque sia il senso della scenetta, il suo carattere complessivo si fonda sulla forte allusività erotica, tutta ruotante intorno alle metafore dei recipienti, che simboleggiano la donna, e degli arnesi, che rappresentano l’uomo: questi personaggi, insomma, dietro il senso apparente del ritiro delle pentole da accomodare, in realtà giungono in massa in cerca di rapporti con le popolane dei piccoli borghi, sicuri di essere lontani dai propri centri di origine. Si tratta di un tema molto caro alla letteratura goliardica e comico-realistica, che amava particolarmente parodiare il sublimato amore cortese attraverso tali ambiguità giocose. Ma al di là di questa interpretazione, l’esecuzione del canto si presenta essenzialmente come occasione per ritagliarsi qualche minuto di chiasso e pazzia, nella dimensione caratteristica dello spirito del Carnevale. La parola più frequentemente ripetuta nel testo, infatti, è proprio il verbo “accomodare”, come a dire: lasciamo da parte i problemi ordinari, oggi siamo venuti per accomodare la quotidianità “scassata” che una volta all’anno necessita di svagarsi e rompere gli schemi. L’atto del percuotere e del fare rumore, infine, oltre a potenziare la comicità della scena, vale ad allontanare scaramanticamente i pensieri negativi attraverso la noncuranza e l’euforia collettive.  

Dal video che segue, recuperato da una vecchia videocassetta, sono riuscita a ricomporre la strofa conclusiva, non presente nel testo originario, che è presumibile sia stata aggiunta occasionalmente a chiusura della manifestazione e saluto finale al pubblico:

A vedervi qua presenti,

tutti belli e sorridenti,

vi ringraziamo ad uno ad uno,

ci vediamo l’anno venturo! 

Ne emerge, a mio avviso, la sensazione di abitudine, di ritualità della Cantata, come fosse scontata la sua ripetizione per l’anno successivo: una sensazione che, purtroppo, non ci è dato di provare da molto tempo e che sarebbe davvero significativo poter sperimentare nuovamente, a conclusione della tradizionale Cantata dei Mesi, anch’essa interrotta da qualche anno. Perché, purtroppo, le tradizioni accantonate rischiano di spegnersi del tutto insieme alla memoria di chi le custodisce. 

Adele Migliozzi

PERSONAGGI

1 Capo Zingaro

2 il Prete

3 ‘On Tutore

4 I Zingaro

5 II Zingaro

6 III Zingaro

7 IV Zingaro

8 V Zingaro

9 VI Zingaro

10 Ammazzapidocchi

11 Zingara (Donna incinta)

*

INTRODUZIONE – Capo Zingaro

(Martellate)

Semmu zengheri e caurarari

che venimmu da Cusenza,

le vostre ben caldaie

accomoderemo con preferenza.

(Tutti in coro)

Due botte noi daremo,

la padella accomoderemo!

E per quelli che non sentono

ci conviene a noi gridar:

«RI CAURARARI! RI CAURARARI!»

* 

I – Zingaro

Ce l’abbiamo un martellino

ch’è d’acciaio sopraffino,

per stagnarvi la padella

non spendete un quattrino.

*

Due botte noi daremo,

la padella accomoderemo!

E per quelli che non sentono

ci conviene a noi gridar:

«RI CAURARARI! RI CAURARARI!»

*

II – Zingaro

S’appresenta ‘sta signurina

accomodamigliu ‘stu cuppinu,

per accomodare ru cuppinu

ce vogliunu ri quattrini.

*

Due botte noi daremo

e ru cuppinu accomoderemo!

E per quelli che non sentono

ci conviene a noi gridar:

«RI CAURARARI! RI CAURARARI!»

*

III – Zingaro

E voi donne brutte lune,

abbarate ai vostri danni,

per stagnarvi la padella

ce perdimmu fuocu, fatica e stagnu.

*

Due botte noi daremo,

la padella accomoderemo!

E per quelli che non sentono

ci conviene a noi gridar:

«RI CAURARARI! RI CAURARARI!»

*

IV – Zingaro

Voi donne ammaritate

ce l’avete in tutte l’ore,

per la padella scuscenata

c’è bisogno d’un sauratore.

*

Due botte noi daremo,

la padella accomoderemo!

E per quelli che non sentono

ci conviene a noi gridar:

«RI CAURARARI! RI CAURARARI!»

*

V – Zingaro

Voi vedove arrabbiate

troppo ardente avete il fuoco;

per stagnarvi la padella

ce perdimmu stagnu, fatica e fuoco.

*

Due botte noi daremo,

la padella accomoderemo!

E per quelli che non sentono

ci conviene a noi gridar:

«RI CAURARARI! RI CAURARARI!»

*

VI – Zingaro

S’appresenta ‘stu signore

acconciamiglu ‘stu bastone,

p’accuncià chistu bastone

nun c’abbasta nu meliòne.

*

Due botte noi daremo,

ru bastone accomoderemo!

E per quelli che non sentono

ci conviene a noi gridar:

«RI CAURARARI! RI CAURARARI!»

*

VII – Zingara

S’appresenta ‘sta vaiassa

spicciamella ‘sta matassa,

pe’ spicciàne ‘sta matassa

ce vò l’Ufficiu de le Tasse.

*

Due botte noi daremo,

la padella accomoderemo!

E per quelli che non sentono

ci conviene a noi gridar:

«RI CAURARARI! RI CAURARARI!»

*

VIII – Ammazzapidocchi

‘On Tutore! ‘On Tutore!

Stai a liettu sì o none?

Si curcatu cu’ ammaritate

e nui t’ammu purtata sta’ serenata!

 *

IX – ‘On Tutore

Amici miei nun cantate chiù,

è passata ‘na mala nuttata,

e stoncu de culu

‘nta l’acqua gelata! 

 

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