Il reimpiego di spolia a Ventaroli e Carinola

In occasione della riapertura al culto – avvenuta ieri, 5 maggio 2012 – della Basilica di Santa Maria ad Forum Claudii sita in Ventaroli, che ha consentito di scattare qualche preziosa immagine, è parso interessante sviluppare una tematica in relazione a tale edificio religioso e alla vicina cattedrale di Carinola, ovvero il reimpiego di spolia: si tratta del riuso di elementi figurativi ed architettonici di spoglio, in modo particolare colonne, capitelli, basi, fregi, sarcofagi, appartenenti ad edifici di epoca classica, che ha inizio in età tardoantica e sarà una delle pratiche più caratterizzanti dell’età medioevale. Si è molto discusso sul significato di questo fenomeno quale indizio di decadenza della cultura artistica, del livello tecnico delle botteghe di scultori e marmorari e, più in generale, delle capacità economiche dell’Impero; tuttavia, esso pare meglio motivabile con ragioni di natura ideologica, quale scelta consapevole per esprimere precisi contenuti simbolici di natura politica o religiosa.

Gettando lo sguardo sulla Campania, si osserva una pratica del reimpiego molto viva già durante il periodo dei ducati longobardi e bizantini, quando sull’esempio dei grandi monasteri di Montecassino e di San Vincenzo a Volturno era viva l’associazione tra un’architettura di prestigio e l’utilizzo delle spoglie, in particolare delle colonne. A segnare il periodo di massima espansione dell’uso di spoglie sarà la dominazione normanna, con la sua ideologia del potere espressa dal “recupero dell’antico” quale richiamo all’Impero romano e alla chiesa paleocristiana e, ove possibile, dall’uso del marmo, quale materiale “principe” per caratterizzare il potere e il prestigio del committente. Le nuove fabbriche religiose promosse dai Normanni, ispirate inizialmente in modo diretto a Montecassino, manifestano una riappropriazione più consapevole di tradizionali repertori decorativi associati al marmo e ad altre pietre, come il porfido e il granito, che continuavano ad essere i materiali per eccellenza portatori in architettura di prestigio politico, religioso e sociale: questo processo ha alla base la scelta programmatica di riattualizzare le spoglie attraverso il loro uso nei nuovi contesti architettonici, garantendo il conservarsi di un’identità culturale attraverso un paesaggio comune: gli elementi di reimpiego negli elevati architettonici manifestano quel concetto di continuità con il passato imperiale romano, da cui l’uomo medievale non si sentiva separato e al quale ricollegava tutte le forme del potere politico. È per questo che alla pratica del reimpiego non può attribuirsi una motivazione solo utilitaristica – risparmio nell’utilizzare elementi architettonici già pronti – o estetica – disponibilità di pezzi di buona qualità – in quanto sono connaturati ad essa significati simbolici di continuità, ma anche di trionfo della Chiesa sull’Impero romano, di cui peraltro questa si sente erede tanto da arrogarsi il diritto a trasmetterne il potere ai nuovi sovrani.

Oltre alla derivazione dal modello di Montecassino, in virtù della quale le cattedrali e le abbazie di più grandi dimensioni della Campania in età romanica presentano costantemente il tipo basilicale paleocristiano a tre navate e con tre absidi, le modalità del riuso sono generalmente le seguenti:

  • file di colonne e capitelli di spoglio per separare le navate: è il caso più tipico;
  • colonne e capitelli di spoglio nelle cripte, ma in misura minore rispetto al corpo principale della chiesa;
  • talvolta fusti ottenuti dalla sovrapposizione di due o più rocchi, sia della stessa pietra che di pietre diverse;
  • prevalenza di capitelli corinzi reimpiegati e capitelli ionici riutilizzati rovesciati come basi di colonne;
  • basi attiche inserite nei fusti reimpiegati;
  • sarcofagi reimpiegati e rifunzionalizzati come altari;
  • capitelli scavati all’interno e rifunzionalizzati come acquasantiere; 
  • mattonelle antiche in settori della pavimentazione;
  • fregi architettonici, cornici, lastre, iscrizioni, prelevati da monumenti e ville di epoca classica nelle adiacenze o nelle città vicine, reimpiegati soprattutto nei portali, solitamente come architravi o stipiti (ad esempio, possiamo segnalare come caso a noi vicino quello della Cattedrale di Sessa Aurunca, che reca reimpiegati come architravi nei portali degli elementi di fregio con maschere sceniche, senza dubbio prelevati dal teatro romano della città stessa).

Ventaroli, S. Maria ad Forum Claudii 

L’edificio presenta un’impostazione spaziale molto tradizionale, dipendente dunque dai modelli cassinesi. Esso si presenta privo di transetto e triabsidato, con due file di sette colonne in granito, cipollino e bigio, interrotte da sottili pilastri rettangolari inseriti tra la quarta e la quinta colonna che si addossano ai lati corti di essi. Sono tutte dotate di basi attiche antiche di diversa grandezza, per cui sono introdotti in alcuni casi blocchi con funzione di plinto per aumentarne l’altezza. I capitelli sono tutti corinzi antichi, prevalentemente del tipo asiatico del II e III sec. d.C., sei capitelli di tipo occidentale, di cui due lavorati e quattro a foglie lisce.

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Cattedrale di Carinola

Voluta da S. Bernardo e dal conte normanno Gionata e risalente al 1087-1094 (mentre il portico del nartece è successivo), contiene numerosi esempi di reimpiego. L’edificio presenta tre arcate su colonne di spoglio in granito, basi attiche di reimpiego, eccetto una ottenuta dal rovesciamento di un capitello ionico antico, e capitelli medievali in marmo lunense. All’interno si conserva ancora un grande sarcofago di III sec. d.C., in marmo proconnesio, con geni alati che sostengono i clipei con i defunti, al cui centro è stata tagliata una finestrella per mostrare le reliquie. Sulla muratura esterna sono stati reimpigati come blocchi fregi altomedievali. Notevole è il reimpiego di mattonelle antiche di opus sectile – un’antica tecnica artistica che utilizzava marmi o paste vitree tagliati per realizzare pavimentazioni e decorazioni murarie a intarsio e per questo considerata una dei procedimenti di ornamentazione marmorea più raffinati e prestigiosi, sia per i materiali utilizzati che per le difficoltà realizzative, che in compenso generava considerevoli effetti cromatici – in vari marmi colorati (bardiglio di Luni, portasanta, giallo antico, ecc.) in alcune parti della pavimentazione.

3 - capitello corinzio

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5 - capitello capovolto

6 - sar

7 - pav1

 

Dunque, le realtà a noi vicine, tanto Ventaroli quanto Carinola, presentano le consuete tipologie di reimpiego; in particolare Carinola è interessante per la presenza del capitello ionico nel portale riutilizzato capovolto come base di colonna, del magnifico sarcofago reimpiegato come altare e delle mattonelle nella pavimentazione realizzate in opus sectile.

Molte città medievali erano costruite sopra quelle romane o nelle immediate vicinanze – così Sessa Aurunca, Teano, Calvi, Telese, Avellino – che potevano, dunque con facilità prelevare i materiali in occasione dell’apertura di un cantiere. Ma, data la necessità di disporre di spoglie marmoree, vi erano in Campania stessa alcuni centri romani particolarmente ricchi di marmi antichi, come Baia, Capua, Pozzuoli e da qui provengono colonne e altri marmi architettonici diffusi su un vasto raggio in Campania. È evidente che il processo di reimpiego delle spoglie mette in moto meccanismi giuridici, economici, logistici, di progettazione architettonica e artigianali di grande portata, che solo si spiegano con il significato ad esse attribuito dalla società medievale. Spetta a noi il dovere di conoscere, conservare e valorizzare al meglio la genesi degli scrigni che impreziosiscono la nostra terra.

Adele Migliozzi


P. Pensabene, Marmi e reimpiego nella Campania di età romanica, in Acta apuana, IV-V (2005-2006), pp. 9-28.

P. Liverani, Reimpiego senza ideologia. La lettura antica degli spolia, dall’Arco di Costantino all’età di Teodorico, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts. Römische Abteilung, 111 (2004), pp. 383-434. 

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