Apri le tue ali all’infinito, don Luciano

 “Pie pellicáne, Jesu Dómine,

me immúndum munda tuo sánguine,

cuius una stilla salvum fácere,

totum mundum quit ab ómni scélere”.

(San Tommaso d’Aquino)

 

“Oh pio Pellicano, Signore Gesù, purifica me, immondo, col tuo sangue, del quale una sola goccia può salvare il mondo intero da ogni peccato”. Così scriveva San Tommaso nell’Adoro te devote, uno dei cinque inni eucaristici dedicati al Corpus Domini nel 1264, anno in cui la celebrazione è estesa da papa Urbano IV a tutta la Chiesa. San Tommaso utilizza l’allegoria del pellicano per esprimere figurativamente il sacrificio di Cristo. Il bianco uccello d’Egitto, dal lungo becco e con le ali spiegate, secondo un’antica leggenda si percuote il fianco nell’amore materno, per nutrire i suoi piccoli con il sangue che sgorga dal petto: per i cristiani, dunque, esso è l’emblema della carità e rappresenta l’estremo sacrificio di Cristo che, sulla croce, offre la vita per la salvezza dei suoi figli. Il Pellicano è Gesù, Gesù è il Pellicano. Anche Dante utilizza questo simbolo eucaristico in riferimento all’ultima cena, in cui l’apostolo Giovanni reclina il capo sul petto di Gesù, mentre ai piedi della Croce sarà eletto all’alto ufficio di Figlio della Vergine Maria: “Questi è colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto” (Paradiso, XXV, 112-114).

Ecco, quindi, che il pellicano diventa il simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli. Per questo motivo, l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini. La simbologia del pellicano sta ad indicare che la vera esistenza eucaristica consiste nell’esercizio continuo dell’amore verso il prossimo. Possiamo sempre dare qualcosa di noi, della nostra esperienza, dei nostri beni, del nostro superfluo: e questa forma di generosità è la manifestazione suprema dell’amore.

Sono, queste, le costanti dell’esperienza religiosa del sacerdozio. La prima condizione per santificare la nostra vita è di viverla nello stato dove la volontà di Dio ci chiama, poiché ciascuno di noi ha la sua perfezione, il suo posto riservato, il suo ruolo da compiere. Ebbene, la vocazione è una manifestazione dell’amore infinito ed eterno del Signore, un suo dono. Il sacerdote è il canale della grazia ed ha una funzione ordinata al bene del prossimo. Egli fa parte della famiglia di tutti: prende l’uomo dal seno della madre e lo accompagna fino alla fine della sua vita; lo benedice e lo consacra; ascolta le sue confessioni più intime, le sue lacrime più segrete; è il consolatore, per stato di vita, di tutte gli affanni dell’anima e del corpo; la sua parola cade dall’alto sui cuori, con l’autorità di una missione divina.

Dieci anni fa, il Signore ha donato alla Chiesa e ai fedeli un sacerdote amorevole, al servizio di Dio e del prossimo. Grazie, don Luciano, per l’enorme contributo che, con la tua presenza, dai a tutti noi. Che il Signore benedica sempre il tuo Ministero, ti illumini e ti dia il giusto entusiasmo per continuare a percorrere ed affrontare degnamente questo cammino. Sii sempre strumento d’amore nelle sue mani: “Che io non cerchi tanto d’essere amato, quanto di amare” (San Francesco d’Assisi).

Auguroni di vero cuore!

 

La redazione di casaledicarinola.net

One thought on “Apri le tue ali all’infinito, don Luciano

  1. anonymus

    Un grazie sentito a don Luciano per gli anni dedicati alla nostra comunità ed un sincero auguriodi poter continuare a svolgere il suo santo ministero sacerdotale,con amore e dedizione,per il bene e la santificazione di TUTTI i fedeli fedeli a lui affidati.Ad maiora semper!

    Con affetto e stima Donato Iannotta

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